ACQUEDOTTI

Opere necessarie per il trasporto di acqua potabile (per quella non potabile è più opportuno parlare di canali e altre opere di irrigazione) da una fonte (sorgiva, artesiana, superficiale) a una sede di consumo. Si tratta di opere di presa, di trasporto (condotta), eventualmente di potabilizzazione e infine di regolazione e distribuzione. Il complesso dei problemi affrontati per la progettazione e costruzione degli acquedotti e gli effetti sociali derivati dall'efficacia della loro soluzione costituiscono un aspetto fondamentale della storia della tecnica, ma anche della storia della vita materiale e sociale. Se la tecnica di canalizzazione è all'origine delle società "idrauliche", fondate sul controllo e la sistemazione delle acque, come l'Egitto antico o gli antichi imperi cinesi, la canalizzazione di acqua potabile è, insieme alle vie di comunicazione e alle difese naturali, determinante per l'organizzazione delle sedi abitative e quindi per lo sviluppo di società urbane. I cunicoli rocciosi presenti nell'antica Palestina, l'uso di pozzi di alimentazione allineati, collegati da canali di adduzione sotterranei nella Mesopotamia, gli acquedotti della Grecia e Magna Grecia ne sono altrettanti esempi originari. Il primo acquedotto di ampie dimensioni, assiro, fu costruito intorno all'VIII secolo a.C.: un canale largo 21 m conduceva le acque di un fiume montano, a partire da uno sbarramento, fino al Ninive, 32 Km a sud. In altri casi il rifornimento si rese necessario per l'esaurimento o l'insufficienza di fonti originarie: è il caso dell'acquedotto costruito nel VI secolo a.C. da Eupalinos per rifornire Samo, con una canalizzazione di due chilometri, di cui uno in tunnel; nel secolo successivo uno simile serviva Atene. Tratto caratteristico degli acquedotti nell'area mediorientale e greca continuò però a essere la canalizzazione sotterranea, con pozzetti di aerazione e pendenza costante. Una funzione determinante acquistarono gli acquedotti nell'ambito della civiltà urbana romana, caratterizzata da imponenti quanto costosissimi acquedotti aerei, soluzione dovuta alla mancanza di tecniche di sollevamento, ma anche alla scelta di sfruttare le acque sorgive, più pure e sicure. L'ingegneria romana perciò realizzò il trasporto in pendenza costante e quindi furono edificati ponti-canali anche a più vie sovrapposte, con struttura ad arcate. Gli acquedotti di superficie costituirono, per la varietà dei problemi affrontati in rapporto alla distribuzione, ai costi e agli investimenti, uno dei più evidenti monumenti della civiltà romana e delle sue elevate capacità di governo. All'origine la tecnica si basò sulla canalizzazione, in parte interrata, in parte aperta e sospesa, come nel caso dell'acquedotto dell'Acqua Appia, iniziato dal censore Appio Claudio nel 312 a.C., che portava l'acqua a Roma da una sorgente situata sedici chilometri a sud, con canale aperto che attraversava le valli con archi. Mentre le distanze aumentavano sempre più (l'acquedotto dell'Acqua Marcia era lungo 90 km e Adriano rifornì Cartagine con un acquedotto di 130 km) i problemi del rifornimento idrico diventavano complessi e pressanti anche dal punto di vista della manutenzione: nel 9 a.C. Augusto creò un ufficio speciale per il rifornimento idrico della città, che nel II secolo d.C. era forte di 700 addetti, in gran parte tecnici e artigiani. All'epoca il rifornimento complessivo di Roma superava il milione di metri cubi al giorno: il 17% serviva a scopi industriali, il 39% a usi privati e il rimanente 44% a caserme, terme, fontane, edifici pubblici. Quali opere di presa furono relativamente sviluppate le vasche di calma e di sedimentazione (castella aquae) e l'uso delle gallerie filtranti (dividicula) anche parallele a un corso d'acqua principale. Fondamentali le tecniche di costruzione dei serbatoi di testa e di estremità, anche per garantire il deposito e la sedimentazione delle acque e la stabilizzazione della temperatura. Si trattava di cisterne di ambienti sovente enormi, suddivisi da pilastri a sostegno di pareti voltate, come quella di Chieti. Infrastruttura economica fondamentale nel mondo mediterraneo antico, gli acquedotti romani conobbero un'imponente evoluzione tecnica: per esempio l'uso dei sifoni invertiti per superare i salti di dislivello e la distribuzione urbana. Ma la pressione di venti atmosfere nei condotti non si poteva risolvere con condutture d'argilla: ecco perciò le tubature di piombo (per il solo acquedotto di Lione vennero impiegate 2000 t di piombo) con le evidenti conseguenze industriali. Anche le tubature delle case erano in piombo, benché i romani ne riconoscessero la tossicità. La possibilità di utilizzare enormi quantità d'acqua nelle città ebbe vistosi effetti igienici e sociali: la diffusione della medicina era strettamente connessa alle pratiche termali, non più legate a particolari situazioni idrogeologiche, mentre la funzione decorativa e architettonica delle fontane agiva potentemente sulla sistemazione urbanistica. L'abbandono della manutenzione degli acquedotti, il crollo della struttura burocratica romana, l'utilizzazione di cisterne o falde freatiche caratterizzano il lungo periodo successivo di scarsa urbanizzazione. Nel Medioevo vi furono però singole iniziative "idrauliche", come quella romana nell'VIII secolo quando il papa Adriano I ripristinò alcune condutture d'acqua affrontando anche i complessi problemi politici della "giusta distribuzione". Furono però gli arabi a diffondere le tecniche orientali delle macchine elevatrici e quindi ad agevolare la ripresa della costruzione dei canali. Dal XIII secolo si prese a restaurare e ripristinare parti di acquedotti romani, e fu ripresa la canalizzazione sotterranea. Nel Quattrocento e Cinquecento le traduzioni dei testi tecnici latini, soprattutto in rapporto ai calcoli di portata delle acque, calibratura delle condutture e ingegneria di macchine da scavo, favorirono la rapida ripresa delle tecniche di costruzione degli acquedotti, tuttavia prevalentemente interrati. La necessità di condutture d'acqua potabile in particolari condizioni del terreno o la lontananza da fonti sicure imposero l'uso di ampie cisterne con un fondo di sabbia per filtrare le acque meteoriche (cisterne veneziane): e la cisterna rappresentò la soluzione di base per la raccolta e distribuzione delle acque. Dal XVIII secolo lo sviluppo urbanistico impose il massiccio rifornimento di acque: l'introduzione delle condotte forzate grazie alla ghisa e successivamente all'acciaio laminato, e quindi alle pompe moderne, caratterizzò tutto il XIX secolo, in cui divenne determinante il problema della potabilità. Nel frattempo alcune innovazioni risolvevano aspetti solo apparentemente minori: è il caso del rubinetto a doppia bocca a forma di cuneo di J. Nasmyth (1840) o del brevetto di Stewart per la produzione di tubi di ferro fusi verticalmente (1846). I problemi principali ora non erano più connessi all'approvvigionamento e alle tecniche relative, quanto alla manutenzione per evitare perdite, alla profondità dei pozzi per garantire la qualità, al consumo energetico delle pompe: e, sempre più, al problema della diversificazione dei consumi. Vedi anche irrigazione.

R. Villa

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